Tra le più amene località di Sesto Calende, l’abitato di Cocquo si è sviluppato in anni recenti sulla collina morenica che da Sesto giunge sino a Taino e, dall’alto, domina la frazione di Lisanza e il braccio meridionale del lago Maggiore. La posizione, alta e soleggiata, e il panorama hanno conferito alla località, negli ultimi decenni, un aspetto residenziale inedito rispetto all’antica vocazione agricola e rurale. Questa è ancora documentata dagli aggregati edilizi sopravvissuti e dalla dedicazione dell’oratorio sacro a S. Eurosia, popolarmente invocata per la pioggia e contro intemperie. La piccola chiesa è molto semplice e si compone di un’unica aula a pianta rettangolare con copertura a volta. La facciata è a capanna, con motivi a lesena angolari, modanatura di sottogronda e porta centrale con cornice in rilievo. La muratura esterna presenta un’intonacatura arricciata. Il tetto, a due falde, è in tegole. Sul lato nord svetta un piccolo campanile a vela in cemento con una sola campana. La sagrestia, un tempo, era collegata al complesso di fabbricati dei f.lli Giulio Cesare e Gilberto Brambilla, che, nel 1665, ne avevano promosso la costruzione. Singolare è la presenza di questa famiglia sulle rive del Verbano, documentata sino al quarto decennio del XIX sec., ma, forse, non originaria dei luoghi. Strettamente collegata e, anzi, inserita nelle istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche di Sesto Calende (un epigono arricchì nel 1752 l’abbazia di S. Donato di una tela per la rinnovata abside), la famiglia, infatti, è più nota per le imprese edilizie che portarono al rinnovamento di Milano, tra la tarda stagione neoclassica e l’eclettismo di metà Ottocento. Tra queste, va menzionato il palazzo, ricco di decorazioni in laterizio, costruito attorno al 1840 su un lato di piazza della Scala e sostituito, nei primi decenni dl Novecento, dalla sede della Banca Commerciale Italiana di Luca Beltrami.
1665 – Nel 1665, i fratelli Giulio Cesare e Gilberto, canonico regolare lateranense, per adempiere il voto fatto alla loro madre, fecero erigere un oratorio per il servizio divino in Cocquo, “ove era fiorente una comunità, indipendente da quella di Sesto Calende che pagava ai feudatari un annuo censo di tre carri di legna” (Tamborini). In origine, al piccolo edificio sacro, collegato traverso la sacrestia alla residenza di famiglia, si celebrava messa saltuariamente, non potendo disporre di una rendita atta a sostenerne le spese. Pochi anni dopo, tuttavia, fu assegnato all’oratorio un beneficio annuale, assicurato da una ipoteca sui terreni di famiglia, consentendo in tal modo una regolare messa quotidiana che fu praticata almeno per i due secoli successivi.