La chiesa sorse nel IX sec. come abbazia benedettina in loc. Scozola, fuori Sesto Calende, a dominio di vasti campi agricoli e presso un porto commerciale che avrebbe conferito nome alla località (per Tamborini Scozola, da ‘Scossa’, pagamento dei tributi), ma che presto fu interrato a causa della piena del Ticino del 1203.
La fondazione è pavese e la chiesa, dal XVI sec. parrocchiale di Sesto Calende, fu a lungo contesa con Milano, sino al 1820 quando rientrò nella giurisdizione ambrosiana.
L’interramento del porto, le aspre contese con Milano (spesso sostenute da falsi precetti divenuti proverbiali, sbandierati persino davanti al Papa) e la perdita, nel 1199, dell’autorità pavese sull’abitato di Sesto portarono al progressivo ridimensionamento del cenobio, soppresso nel XVI sec.
Della chiesa coeva alla fondazione non rimangono che frammenti di lastre scolpite a motivi spiraliformi, murate all’interno. Per il resto, l’edificio è frutto di una costruzione del XI sec., integrata nel successivo da un nartece.
Modificata a più riprese, fu radicalmente restaurata entro il 1752, secondo una veste che ancora caratterizza sostanzialmente l’interno.
Si giunge all’abbazia lasciando la periferia moderna di Sesto Calende.
Anticipata da un prato verde (già area cimiteriale) e dal sagrato, la mole severa dell’edificio e del campanile offrono un quadro ancora in grado di risarcire le trasformazioni prodotte dalla recente urbanizzazione dell’area.
L’avancorpo, o nartece, è un parallelepipedo anticipato alla chiesa vera e propria, di cui nasconde la facciata.
Vi si aprono tre porte, a loro volta ricavate nel tamponamento degli archi originari (quando l’ambiente era aperto), la cui ghiera falcata è risaltata dall’alternanza cromatica delle pietre dei conci.
L’interno del nartece è suddiviso da due colonne in sei campate disallineate rispetto all’asse longitudinale della retrostante chiesa.
Le colonne, con rozzi capitelli figurati, sostengono una serie di volte cupoliformi.
Sulla parete destra, un ricco ciclo affrescato dedicato a S. Caterina (inizi del XVI sec.) è stato a lungo variamente attribuito a noti pittori lombardi, ma rimane ancora anonimo.
Dal nartece si passa alla chiesa scendendo due gradini.
Questa è impostata con un impianto basilicale, a tre navate diseguali senza transetto.
Le navate sono scandite da archi a tutto sesto sostenuti da pilastri a sezione rettangolare, secondo le riforme settecentesche.
La navata centrale termina con un profondo coro, innalzato di due metri sul pavimento e ideato per corrispondere alle esigenze della comunità monastica.
Delle tre absidi, la destra è stata distrutta nel 1822. La minore settentrionale, invece, recuperata nel 1959, conserva il catino e l’intera superficie affrescata.
Al centro dell’abside, la cui dedicazione a S. Giovanni Battista, riproposta di recente, riprende l’intitolazione nota sin dal XIII/XIV sec. (‘Liber Notitiae sanctorum Mediolani’) è stato ricollocato il fonte battesimale, documentato nelle prime visite pastorali.
La testata dell’abside destra fu ricondotta nel 1565 circa a cappella rettilinea per la creazione della retrostante sagrestia.
Dedicata al Crocifisso (in luogo della precedente invocazione a S. Pietro), fu sede di confraternita ed è rivestita di un ricco apparato di stucchi e affreschi.
Il presbiterio è preceduto da una scalinata, ornata, come la piattaforma rialzata, di una balaustra in marmo, collocata nel 1772-53.
La volta, le pareti delle tre campate del coro e l’abside sono rivestiti da una ricca decorazione affrescata a lungo attribuita a Biagio Bellotti e ora a una bottega vicina all’operato di Antonio Magatti. Sotto il presbiterio, e con accesso ai lati della gradinata centrale, si sviluppa la cripta, coeva (secondo Schiavi) alla chiesa (XI sec.).
La parte terminale esterna della del complesso conserva due absidi antiche (centrale e settentrionale) e il paramento originario in ciottoli e pietre di medie dimensioni, apparecchiate con una certa regolarità.