La chiesa di San Pietro a Brebbia rappresenta uno dei più interessanti e meglio conservati edifici romanici della provincia di Varese. La chiesa sorse alla fine del XII sec. o agli inizi del XIII sec. nell’ambito del complesso plebano di Brebbia, laddove i santi Giulio e Giuliano avevano fondato una primitiva “basilica” dedicata ai Dodici Apostoli, nel V sec,. e dove, ab antiquo, esisteva un vicus romano tra i più consistenti dell’arco tra Ticino e il lago Maggiore (per un’analisi delle testimonianze epigrafiche: Armocida, Tamborini).
Da qui la probabile esistenza di un tempio dedicato a Minerva che qualcuno vuole si estendesse sotto l’attuale complesso parrocchiale moderno che, peraltro, si segnala per essere sorto secondo un progetto di Emilio Lancia del 1964.
L’assenza di scavi archeologici mirati rende difficile persino formulare un’ipotesi sulle prime fasi cristiane del luogo.
Non è chiaro, infatti, se la chiesa romanica dedicata a S. Pietro sia da identificare con la prima, d’età tardoantica e documentata una prima volta nel 999; o, piuttosto, come è più probabile, se alla “basilica […] duodecim apostolorum”, fondata grazie alla miracolosa intercessione di Giulio, non siano da associare i resti di altra chiesa, che sorge alle spalle della principale, demolita nel 1574 per ordine di Carlo Borromeo e nota nel XVI sec. con il titolo di S. Maria.
Di questa (dove sino alla seconda metà del XVI sec. si somministrava il battesimo), rimane il campanile (X-XI sec.?), che non fu mai costruito per la chiesa recenziore. In ogni caso, Brebbia, che dalla metà circa del X sec. fu infeudata ai vescovi di Milano (con castello oggi scomparso), fu centro plebano dagli esordi al 1574, quando, ancora per ordine di Carlo Borromeo, la sede fu traslata a Besozzo. La chiesa di S. Pietro a Brebbia si presenta come un solido blocco, ben rivestito, per buona parte, in blocchi di serizzo, granito e pietra d’Angera.
La facciata, un tempo a capanna, presenta ora un settore centrale preminente sulle ali laterali, frutto di un sopralzo operato nel XVII sec. in occasione della costruzione di volte sulle navi interne.
Un periplo attorno all’edificio consente di ammirare le testate dei bracci dei transetti e l’abside, scompartita, come la facciata, da salienti e aperta da tre monofore strombate: quella centrale con articolata strombatura costituita dalla successione di colonnine e pilastri dai capitelli fogliati.
Il fianco meridionale conserva un portale laterale di identica fattura (strombature con colonnine e pilastri). Tutto l’esterno è fasciato da una cornice basamentale di chiara matrice classicheggiante, a riprova di un cantiere di una certa raffinatezza compositiva e di dettagli, con una concentrazione decorativa evidenziata dagli studi (Schiavi) nel settore meridionale della costruzione, ossia verso l’area che un tempo doveva essere occupata dal centro plebano, con altra chiesa (la citata S. Maria), case canonicali e, s’immagina, una costruzione autonoma destinata a battistero.
L’interno, come anticipato dalla scansione esterna dei salienti in facciata e dalle testate dei bracci della croce, si articola in tre navate con transetto non sporgente e di poco elevano rispetto alle gallerie laterali.
L’innesto delle volte, frutto di un già ricordato intervento seicentesco (Karl Porter aveva evidenziato per primo l’incoerenza delle coperture interne di navi e gallerie laterali, in origine con soffitto ligneo a vista su cavalletti) e, poco prima, tra Trecento e Quattrocento, il rifacimento della crociera e del catino absidale hanno profondamente alterato un assetto non ancora ricostruito idealmente, con probabile copertura a botte dei bracci dei transetti già presente in origine, come di recente ha sostenuto Luigi Schiavi con accurati paralleli.
Nell’abside si conservano i principali cicli pittorici, di recente disvelamento e di difficile lettura. Varie le stratigrafie, non anteriori, però, al XIV sec.
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