La chiesa di S. Bernardino alle Monache allunga il fianco su via Lanzone e innalza la facciata su un raccolto giardino che la separa dal liceo Alessandro Manzoni. L’edificio sacro è l’unico sopravvissuto di un complesso assai più articolato, con altra chiesa e ampio chiostro, immortalato all’apice della configurazione in una celebre veduta di Carlo Canella del 1836. Il porticato cingeva la chiesa riservata alle religiose, mentre un secondo oratorio, innestato ortogonalmente al primo, era destinato esclusivamente alle funzioni pubbliche. S. Bernardino alle Monache conserva i caratteri quattrocenteschi, in parte integrati stilisticamente durante un restauro dei primi anni del Novecento e recentemente restituiti a piena fruizione grazie a un restauro voluto dall’associazione Amici di S. Bernardino alle Monache. Il lavoro, che ha interessato soprattutto gli affreschi interni, ha consentito anche di chiarire alcuni aspetti oggetto di acceso dibattito negli anni scorsi, per via della datazione della fabbrica (dopo il 1480 per Patetta): è stato così possibile retrocedere il cantiere di qualche decennio verso la metà del Quattrocento e mettere in giusta luce il ruolo di Pietro Antonio Solari che, invocato da quasi tutte le fonti come autore del progetto (anche se già dubitativamente accettato da Patetta), avrebbe agito solo nell’ambito di un completamento. Ne conseguirà, probabilmente, un profondo cambio di valutazione critica sulla chiesa (nelle “forme di un compiaciuto arcaismo”, secondo il giudizio di Angiola Maria Romanini, cit. in Patetta) a favore della lusinghiera definizione di Carlo Ottavio Cornaggia, già espressa nel 1923, come “una delle migliori costruzioni quattrocentesche del centro milanese” (cit. in Pensa). La chiesa, a differenza di altri modelli conventuali “doppi” in uso nel XV sec., ossia con tramezzo centrale, si presenta come un’aula unica conclusa da coro quadrato innestato dietro l’arco trionfale. La navata è suddivisa in due campate (oltre 10 m di luce) da un arco trasversale sostenuto su peducci, con volte a crociera sui costoloni. La facciata, che si presenta a due spioventi, con portale a tutto sesto sormontato da tre monofore ogivali e da un oculo superiore (in parte ricostruiti nel Novecento), è ornata da scodelle maiolicate e da una cornice di coronamento ad archetti intrecciati, estesa anche sui fianchi. Il campanile, a destra, presso il presbiterio, con loggia monofora e cuspide a cono, presenta numerose analogie con la torre della chiesa di S. Antonio abate. Nel complesso, conclude Luciano Patetta, un impianto “riconducibile ai dettami francescani di S. Bernardino”, cristallizzati nella ricostruzione quattrocentesca di S. Angelo, messo in atto “con precisi rapporti proporzionali”. La chiesa, infatti, “è impostata su un rettangolo formato da due quadrati (12 m x 24, circa); la scarsella, pure quadrata, occupa 1/4 dello sviluppo in lunghezza dell’intera piana. La facciata […] è contenuta in un rettangolo la cui altezza è una volta e mezza la larghezza”. Sul fianco, suddiviso in quattro settori da contrafforti maggiori e minori, “ogni campata è composta di 3 quadrati (4, se si considera la campata all’interno dei contrafforti); la parte absidale è composta di 2 quadrati; l’intero fianco è iscritto in un rettangolo armonico (17,60 m:13,70 m; rapporto 5:4, circa)”. La partitura interna di affreschi, staccati, più volte restaurati e ricollocati, è stata recentemente, grazie all’intervento conservativo, attribuita a una bottega che, seppur anonima, dimostrò un’azione sicura e una stretta vicinanza ai modelli più avanzati maturati nei principali cantieri dell’arte milanesi della fine del XV sec.: Zenale, Bramantino, Foppa.
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