La chiesa, un tempo intitolata a sant’Andrea apostolo e dedicata alla Madonna del Rosario in concomitanza con il trasferimento del titolo al novo tempio parrocchiale (1903-1904; 1906 istituzione della parrocchia), sorge nel cuore dell’abitato consolidato di Sangiano. Dell’antica origine medievale (almeno XIII sec.) conserva l’impostazione generale (con singolare orientamento liturgico non canonicamente rivolto a est), buona parte dell’aula fedeli, con porzioni di affreschi datati 1491, e “almeno […] le fondamenta del campanile” (Spiriti). Per il resto, è frutto di due fasi costruttive successive: la prima, tardo cinquecentesca, portò al riordino dell’area presbiteriale in funzione di un grande ciclo affrescato che ancora oggi costituisce il motivo d’interesse principale dell’edificio; la seconda, nei primi decenni del XIX, agì sull’aspetto di facciata e interni, rivestiti di una moderata e sobria veste tardo neoclassica. La facciata è a capanna, con timpano sommitale. L’interno si articola in un’unica aula rettangolare, percorsa da lesene e modanature, ed è scandito in tre campate asimmetriche: le prime destinate ai fedeli, l’ultima al coro riformato nel tardo XVI sec.
XIII – La chiesa, in origine dedicata a Sant’Andrea apostolo (titolo oggi trasferito alla parrocchiale novecentesca), è di origine medievale, secondo quanto attesta l’elenco di luoghi sacri ambrosiani redatto agli esordi del XIV sec. e noto come Liber Notitiae Sanctorum Mediolani: “in plebe Lezeduno. Loco Sanzan altare sancti Iacobi Zebedei in ecclesia sancti Andree”.
1578 – Nel 1578 il vicario foraneo trovò la chiesa “diruta multis in loco”; ciò nonostante la presenza dell’unico cappellano residente fuori del centro plebano di Leggiuno. Taruggi ne ordinò la ricostruzione, che fu presto attuata, come si apprende dalla cronaca ottocentesca di Vicenzo De Vit: “Questa chiesa è [stata] edificata l’anno 1592 come ivi si legge”. Lo storico, che forse appoggiava la sua teoria alla data presente sotto il grande affresco nel presbiterio, non era lontano dalla verità. Sulla base dei sondaggi (1998), infatti, è stato possibile appurare che dopo la metà del XVI sec. l’antica abside semicircolare fu abbattuta per innalzare un coro rettilineo, più idoneo ad accogliere il dispiegamento di santi (la gran parte invocati contro la peste, recente allora quella “di S. Carlo” che incise con violenza sulle aree del Verbano) firmati da Battista Besozzi di Arolo. I lavori lasciarono intatta una parte dell’invaso originario, dove sono stati recuperati affreschi del 1491.
XIX – Un’ulteriore fase di revisione sostanziale della chiesetta è da collocare, in assenza di documentazione, ai primi anni del XIX, se non, addirittura, ai primi decenni di quel secolo. A seguito dei lavori, infatti, l’edificio assunse l’aspetto attuale, di moderata impronta tardo neoclassica, come provano il timpano sorretto da lesene angolari, lisce e prive di modanature, basi e capitelli, il portale, sormontato da un fregio rettilineo, il “lunettone” creato al centro della facciata e una seconda apertura, simile, ma di ridotte dimensioni, ricavata nella prima campata. La riforma fu estesa anche all’interno, con identica sobrietà d’impianto.
1998 – L’affresco absidale fu sottoposto a un primo intervento di restauro nel 1974, sotto la direzione di Carlo Alberto Lotti. Nel 1998 i lavori di restauro conservativo furono affidati a Rossella Bernasconi Alberti che condusse anche una campagna di analisi e di recupero per gli altri lacerti affrescati di matrice quattrocentesca.