La piccola chiesa di Turro, nella frazione di Monvalle, si eleva al margine di un gruppo di case e, nonostante la veste moderna, è di antica fondazione (XIII sec.). Sorta nell’ambito di un complesso rurale e, quindi, in origine, di probabile iuspatronato privato, la cappella non conserva che sporadiche testimonianze di una stratificazione secolare per via di massicci interventi di ricostruzione; pare tuttavia indubitabile che l’edificio odierno sorga sul sito di quello antico, come documentano la continuità di attestazioni nelle visite pastorali, i rilievi del catasto settecentesco e il corretto orientamento liturgico dell’altare. La chiesa è di semplice aspetto e si articola in aula fedeli a pianta rettangolare e catino absidale. La facciata è a capanna, illeggiadrita da due lesene piatte angolari che reggono un timpano, appena profilato da modanature. Al centro della facciata si apre il portone, a tutto sesto; al di sopra, campeggia un oculo circolare. La chiesa e le manifestazioni collegate sono curate dall’associazione “amici di Turro”. All’interno della chiesa si conserva un affresco raffigurante una Sacra Famiglia, per alcuni di fattura quattrocentesca (come indicherebbe l’elaborata cornice decorativa), anche se ampiamente ripreso, per quanto riguarda la scena centrale, nei secoli. Il manufatto proviene da un’abitazione privata; staccato e restaurato, è stato collocato in sicurezza nella chiesa in anni recenti.
XIII – La chiesetta di Turro è documentata con continuità nei secoli, a partire dalla prima attestazione contenuta nell’elenco dei luoghi di culto della diocesi di Milano noto come Liber Notitiae Sanctorum Mediolani e redatto agli esordi del XIV sec.: “in plebe Bribia. loco turri. ecclesia sancti nazarii”.
1886 – L’edificio fu interessato da qualche intervento durante l’ultimo quarto del XIX sec., ma le fonti non ne specificano l’entità. Gli atti radunati in occasione della visita del card. Ferrari, nel 1896, infatti, ricordano di una “ricostruzione” attorno al 1886; di contro, l’archivio parrocchiale rimanda a opere di ingrandimento eseguite nel 1892. In ogni caso, i lavori non furono eseguiti e, atti della visita cardinalizia alla mano, la chiesa nel 1896 non risultava consacrata.
1932 – Più “radicali lavori” furono intrapresi tra 1932 e 1933: nuovi altare di marmo, balaustra e pavimenti. Fu questa l’occasione in cui fu “demolita l’abside antica”, perché giudicata troppo “bassa”. Che si trattasse della terminazione medievale sopravvissuta nel cuore del XX sec. pare confermato dalla cronaca apparsa su “L’Italia” nel 1939: l’anonimo redattore giudicò i lavori “uno scempio!” per la perdita delle pitture che ornavano il catino, raffiguranti il “Divin Salvatore e i due titolari del Tempio”. Puntuale anche la nota di R.L. Brunella, ispettore onorario per la soprintendenza, che nel 1960 ancora lamentava che la “chiesetta” era stata deturpata “una cinquantina di anni fa […] nel suo primitivo stile lombardo”. L’autore collegava poi un bassorilievo trovato “sopra la porta” di una casa colonica e raffigurante una “nobile signora […] in costume del Cinquecento” a un disperso sepolcreto un tempo forse conservato nel culto, flebile indizio di un possibile, antico iuspatronato.
1985 – Ultime opere in ordine di tempo furono quelle che, tra 1985 e 1986, portarono alla “rimozione della volta” (probabilmente il soffitto interno dell’aula dei fedeli, oggi retto da capriate a vista) e alla posa di un “nuovo tetto”. Forse nella medesima occasione si diede mano alla riforma dell’area presbiteriale, con eliminazione dei cancelli e dell’altare in marmo collocati nel 1932-33, posa di nuova mensa e di nuovo leggio, e al rifacimento di tutto il pavimento interno.