Il San Biagio s’innalza su un bel sagrato creato a sbalzo sul fianco della collina dove si sviluppa il centro antico di Voldomino. La chiesa, frutto di una riforma seicentesca, è di origine medievale, almeno del XIII sec. e di quel tempo conserva, quanto meno, il canonico orientamento all’antica, ossia con altare rivolto a est. Nel XVI sec. fu impreziosita di affreschi ancora presenti nel presbiterio; del resto, allora, l’oratorio costituiva ancora il centro parrocchiale della località, prima, cioè, che venisse soppiantato nel ruolo dalla chiesa affacciata sulla piazza centrale (S. Maria Assunta), in origine di esclusiva pertinenza privata. Il San Biagio attuale merita una visita, non solo per i cicli affrescati interni. L’opera di riforma seicentesca, infatti, fu compiuta dalle anonime maestranze restituendo all’edificio sacro un volto semplice, ma non privo di interesse per le facciate contrapposte, di classico disegno e arricchite di finestre “a serliana”, e la scansione dell’ambiente interno, percorso da lesene doriche e coperto da una bella volta a botte.
XIII – Il San Biagio di Voldomino fu menzionato una prima volta nell’elenco di chiese ambrosiane noto come Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, compilato tra la fine del XIII sec. e l’esordio del XIV sec. La chiesa, dunque, ha documentate origini romaniche (XIII sec.), ancorché l’attuale edificio non ne conservi alcuna traccia. Nel 1398, vi era associato un “custos” (ossia una figura di custode fisso) e alcuni beni necessari al sostentamento del clero e della fabbriceria: poiché la chiesa di S. Maria Assunta (oggi parrocchiale) era allora di pertinenza privata, il possesso di beni e la presenza di un chierico in funzioni di guardiano configuravano, per il S. Biagio, l’embrione del futuro ed imminente stato di parrocchialità.
1503 – Nel 1503, su una parete laterale della chiesa antica, forse nella campata precedente l’abside semicircolare, fu dipinta una Madonna di Loreto. L’opera, che ancora sopravvive, reca la firma di Gugliemo Jotti da Montegrino, la data e il nome del donatore. Nel giro di pochi anni, sulla parete opposta, fu affrescato da mano anonima un gigantesco San Cristoforo. I due dipinti affrontati paiono testimoniare che, almeno in quel settore, le murature romaniche della chiesa siano state preservate nelle successive fasi di ricostruzione.
1668 – Nel 1668, l’oblato Orazio Martignoni, dottore in Sacra Teologia e prevosto di Valtravaglia, accompagnato dal notaio apostolico Pietro Canzio, benedisse il rinnovato oratorio. Le opere intraprese avevano portato al rifacimento parziale dell’area presbiteriale (dove l’abside “in forma emicicli”, documentata alla fine del XVI sec., era stata demolita e rettificata), alla ricostruzione integrale dell’aula fedeli in un nuovo e arioso ambiente ad aula unica e all’innalzamento di due facciate speculari; il disegno di quella principale, rivolta a valle e ornata di “serliana” sopra il portale, infatti, era stato replicato nel prospetto del presbiterio, rivolto a monte e ugualmente impreziosito con un “serliana”. Quest’ultima, tuttavia, era di semplice parata perché non effettivamente corrispondente a una finestra per l’illuminazione dell’interno.
1965 – Nel 1965 l’oratorio era in abbandono e se ne paventava la demolizione. La fortuita individuazione, sotto le scialbature, dei cicli affrescati interni suscitò, però, un’iniziativa popolare presto fatta propria della parrocchia. Si scelse, quindi, di recuperare gli affreschi e di sottoporre la chiesa ad alcune, minime riparazioni. Il restauro conservativo della Madonna di Loreto e del San Cristoforo fu eseguito da Carlo Alberto Lotti di Varese.