Nella località di Venero erano posti i “monti” di Maccagno Inferiore, ossia l’alpeggio primaverile e autunnale. La quota relativamente bassa (360 m s.lm., 150 circa rispetto all’abitato principale) consentì, tuttavia, l’attestazione di qualche residenza stabile e permanente durante l’anno. Da qui le discrete dimensioni dell’abitato e l’antichità (nonché le ragguardevoli dimensioni, in relazione ai luoghi) del luogo di culto. Questo, oggi, è nelle forme conferite durante una non documentata opera di riforma generale conclusa entro il 1683: chiesa ad aula unica, coperta con volte a vela, presbiterio rettangolare, coperto a crociera, ed elegante facciata a capanna, con fitto gioco di lesene e cornici in aggetto che inquadrano il portale, la lunetta dipinta soprastante e la finestra rettangolare per dar luce all’interno. Come sovente sugli “alpi”, la devozione popolare riversò nella costruzione e ricostruzione del luogo sacro quei valori di religiosità che in montagna sono più evidenti e sensibili, mossi anche da un bisogno di protezione da intemperie, lupi e insidie quotidiane. Ne è scaturito, all’interno della chiesa, il singolare affresco conservato sulla parete di fondo del presbiterio, con una Madonna incoronata con angeli alla quale fanno da corona ben sei santi (tra cui si riconoscono Aquilino, Antonio, Sebastiano, Vincenzo e Rocco), “popolare dispiegamento di protettori polivalenti per campi e bestiame, contro le pestilenze…” (Frigerio). I santi ai piedi della Madonna sono frutto di un intervento seicentesco, ma l’affresco mostra tracce di qualche antichità (inizi del XVI sec.) e documenta la precoce fase di fondazione della chiesetta. La fama di santuario crebbe nei secoli, come documentano i sopravvissuti ex-voto conservati nell’interno. La tradizionale festa si svolge la prima domenica di luglio, con celebrazione mattutina e incanto dei canestri al pomeriggio. Attualmente buona parte dell’abitato è in condizione di rudere, ad eccezione di qualche baita recuperata negli scorsi decenni.
XV – L’affresco, presente sulla parete di fondo del presbiterio e databile, nonostante le evidenti ridipinture, ai primi anni del XVI sec. (per stretta analogia con coevi affreschi in altre chiese del territorio di Maccagno), contribuisce a fissare l’origine del luogo sacro attorno allo scorcio del XV sec. o, al più tardi, proprio allo scoccare di quello successivo. Sembra possibile associare all’affresco, infatti, anche l’intero spazio del presbiterio: la pianta quadrata, la copertura con volta a crociera e la ridotta elevazione rispetto all’aula unica trovano rimandi in analoghe costruzioni ecclesiastiche dell’area a cavallo tra XV e XVI sec. Non è possibile stabilire, tuttavia, se questo primo edificio fosse già nelle forme di una vera e propria chiesetta (con ulteriore corpo di fabbrica per i fedeli) o se, in alternativa, si trattasse di semplice cappella aperta costruita a riparo dell’immagine sacra e limitata, quindi, alla superficie dell’attuale presbiterio.
XVII – Nel 1683, durante la visita sul posto del card. Federico Visconti, furono rilevate le prime misure disponibili dell’edificio: 15 x 8 cubiti “circiter”. Si tratta di dimensioni corrispondenti a una ridotta chiesa ad aula unica, coerenti con quelle rilevate dal card. Pozzobonelli nel 1748 (16 x 9) e con quelle dell’attuale fabbricato. Il dato contribuisce a fissare un termine ante quem per l’intera gamma di riforme che, quale che fosse la tipologia e l’aspetto del primitivo luogo sacro, avrebbero restituito alla chiesa il volto che ancora oggi conserva: innalzamento dei muri d’ambito della navata; costruzione di volte sopra lo spazio dei fedeli; costruzione (o ampliamento) della sacrestia sul lato meridionale; creazione di una nuova e relativamente complessa facciata, intessuta di lesene e modanature; creazione di un’elaborata cornice di legno intagliato, dipinto e dorato attorno all’affresco cinquecentesco.
1920 – “Da un lustro fu il santuario in parte restaurato dall’attuale Parroco Mazzuchelli”. Con questa affermazione, don Celestino Del Torchio chiudeva la sua personale descrizione della romita chiesetta, nell’ambito di un volumetto dedicato a Maccagno e alla Val Veddasca dato alle stampe nel 1925. Il volumetto è altrettanto interessante per alcune leggende legate al luogo: “La tradizione vuole che in quella località fosse conservato, in antico, il culto della divinità pagana (Venere)” e che vi fosse costruito “in seguito […] un Lazzaretto per accogliervi le vittime della peste”. La prima asserzione è chiara derivazione dal toponimo della località, spesso storpiato in Monte Venere dall’originario, e corretto, Venero. La seconda è più plausibile, ancorché priva di appigli documentali.